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UJJAYI

Mi è capitato in passato di frequentare classi di Yoga dove la maggior parte degli allievi praticava con un respiro rumoroso, pesante, lungo.
A quei tempi non sapevo cosa fosse e uscivo da quelle lezioni di Yoga infastidita da questo rumore di fondo poco elegante e cosi grossolano. Oggi, dopo gli approfondimenti e le mie costanti pratiche personali mi nasce spontaneo un sorriso e uno sguardo di tenerezza nei miei confronti.: Alcune volte, infatti, ignorare il significato di un evento porta la mente a giudicarlo come buono o cattivo, ad attuare una separazione netta tra ciò che va bene per noi e ciò che ci sembra così poco adeguato!
Ecco perchè ho scelto di scrivere di questo argomento e di riportare in questa breve riflessione anche la mia esperienza.
UJJAYI prima di tutto è un’espressione di gioia, di vittoria, potrebbe essere tradotto comunemente come un EVVIVA! HO VINTO! l’etimologia della parola sanscrita è composta da UD alzare e JAYA gioia, vittoria.
Ma vittoria di chi?
Nella tradizione tantrica, i saggi dicevano che ogni bambino nasce con una borsa piena di respiri, piena di un numero ben definito di respiri. Perciò l’insegnamento per avere una lunga vita, come quella degli elefanti, era respirare molto lentamente, far durare il più possibile la dotazione di respiri ricevuta. Perciò la Vittoria era vista come un tentativo di vincere ciò che la natura aveva concesso tassativamente ad ognuno di loro.
Ed è qui che interviene la tecnica dell’UJJAYI come una modalità fisiologica di allungamento volontario del respiro: attraverso una piccola chiusura della glottide, che restringe il passaggio dell’aria nella trachea, il nostro respiro impiega più tempo ad entrare ed uscire. Inoltre si cerca di direzionare il respiro verso il centro del cranio, di elevarlo per non appesantire e ledere le corde vocali. Il risultato è immediato ed evidente fin dal primo respiro: non ci sono più scorciatoie ma una lunga strada per inspirare e una lunga strada per espirare.
In realtà questo è solo l’effetto grossolano di UJJAYI, che ha, per una mente lucida, risvolti molto più sottili: infatti il rumore prodotto dallo strofinio dell’aria contro le pareti della gola crea un suono unico a cui la mente si aggancia volentieri. Un mio rumore respiratorio che ha il potere di attutire gli altri rumori esterni (quelli che ci distraggono immediatamente) ma soprattutto ha l’immenso potere di schermare i rumori interni (il cicaleccio dei nostri pensieri) riportando la mente ad un ritmo sonoro duale, che la culla e la focalizza nel qui ed ora. La tecnica ujjay e la meditazione vengono utilizzate per contrastare la paura di volare o di viaggiare o per i rumori costanti nelle orecchie (acufeni) con ottimi risultati.
Ma, se da bravi ricercatori, ci spostiamo ancora qualche passo più in là possiamo sperimentare con l’UJJAYI anche il mantra primordiale l’ajapajapa (la recitazione della non recitata) ovvero la recitazione della respirazione. Ascoltando infatti il suono prodotto spontaneamente dal nostro respiro (dopo aver installato un leggero UJJAYI) possiamo ritrovarci due sillabe: il SO (sah) nell’inspiro e l’HAM (aham) nell’espiro, continuando a recitare questo mantra silenzioso semplicemente respirando.
Il senso di questa pratica tantrica era di riportare l’attenzione all’unione tra l’assoluto e l’io: AHAM significa io e SAH significa lui, quello. Ecco che da qui il senso del mantra viene interpretato come Io sono quello, Io sono lui e Lui è me, egli è in me.
Respirare ricercando in una pratica questo mantra non recitato significa ripeterlo per tutti i nostri respiri, elevando in questo modo la nostra pratica a livelli meno grossolani e sperimentando anche aspetti più mistici e profondi di noi stessi.
L’UJJAYI però non deve essere considerato solo una tecnica per le posture più facili o applicabile solo per iniziare la meditazione, perchè infatti è molto utile anche negli asana più complessi in cui serve l’attivazione della nostra forza muscolare e una profonda concentrazione per non farsi vincere dalla fatica.E’ un alleato prezioso un’ arma con cui zittire i giudizi della nostra mente e gestire la fatica delle posizioni più intense o scomode o imbarazzanti.

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